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Puzza di aria surriscaldata, di quella che trema sopra l'asfalto quando la città tira il fiato dalla stanchezza. Le parole sembrano sciogliersi, lasciando dietro di sé solo il battito e il calore che non vanno via. Tutto è stato detto da tempo, ma la bocca continua a sussurrare: "fine". Come se, ripetendo ancora una volta, il passato si dissolverà obbedientemente nel ronzio degli altoparlanti. Qui non c'è né rabbia né perdono - solo calore, appiccicoso e vischioso come agosto. Il ritmo culla, come un vecchio ventilatore che borbotta all'ultimo respiro. E in questo "calore" non c'è solo la temperatura. È un ricordo che non può essere raffreddato né dal tempo né dalla distanza.